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Il biochar, il nuovo oro nero

Di Alice Mannucci. Il 2030 ormai è alle porte, il cambiamento climatico è tangibile, eventi estremi si registrano sempre più frequentemente in ogni parte del mondo, dall’America all’Asia. La causa del fenomeno è attribuita all’emissione costante e spesso incontrollata dei gas serra (green-house -gas GHG), anidride carbonica (CO2) e metano (CH4), ma determinanti sono anche…

Di Alice Mannucci.

Il 2030 ormai è alle porte, il cambiamento climatico è tangibile, eventi estremi si registrano sempre più frequentemente in ogni parte del mondo, dall’America all’Asia. La causa del fenomeno è attribuita all’emissione costante e spesso incontrollata dei gas serra (green-house -gas GHG), anidride carbonica (CO2) e metano (CH4), ma determinanti sono anche l’inquinamento di falde acquifere e suoli, che insieme alla cementificazione e deforestazione danneggiano gli ecosistemi terrestri. Di fronte a questa crisi globale la comunità scientifica si è impegnata a individuare soluzioni per mitigare il danno antropico. Tra queste il biochar, sta attirando sempre più l’interesse del mondo della ricerca e dell’industria. Questo materiale sembra dimostrarsi una valida strategia per sottrarre CO2 atmosferica, purificare acque e suoli e limitare il ricorso alle fonti fossili.

Cos’è il biochar?

Il biochar è un materiale composto principalmente da carbonio (C). Infatti, in alcuni casi i campioni possono presentano una percentuale di C anche al 90% del totale. L’aspetto è simile a quello del carbone tradizionale: un materiale granuloso, nero, che rende mani e superfici nere. Per questo motivo, taluni scienziati lo descrivono come un carbone Vegetale. Il biochar è un ‘carbone’ eco-sostenibile, prodotto non per essere utilizzato come combustibile, ma per migliorare l’ambiente in cui viviamo. Le potenzialità del biochar sono molteplici, la ricerca al riguardo, sta esplorando nuovi campi d’applicazione. Il ‘green’ del (bio)char è dato dalle materie di origine e dai processi utilizzati per la sua produzione. Questo infatti consiste nel prodotto solido di processi termochimici che sfruttano alte temperature per degradare biomasse. Le molecole organiche complesse (principalmente lignina, cellulosa ed emicellulosa) vengono trasformate in composti più semplici, sfruttando processi di scissione dei legami chimici indotti dalle alte temperature. Nei reattori, infatti, la percentuale di ossigeno/aria è molto bassa (la concentrazione di O2 è sub-stechiometrica). Per questo i processi che generano il biochar (principalmente gassificazione e pirogassificazione) possono essere descritti come ‘new-generation- pyrolysis’. Tuttavia, il biochar non è un materiale di nuova generazione. Il suo utilizzo e produzione risale addirittura alla fine del 19’ secolo, quando negli USA, era utilizzato per incrementare le rese delle culture. Il biochar, infatti, grazie alla sua struttura porosa e carboniosa recalcitrante, favorisce il rispristino dell’attività batterica simbiotica alle piante e migliora la capacità di trattenimento dell’acqua1 e dei nutrienti2.

Il biochar è prodotto solido ottenuto dalla degradazione termochimica di biomasse. In riferimento alla normativa italiana, Dlgs 75/10, sono ammesse solo biomasse derivanti da scarti agricoli e forestali certificate.

Come è fatto un impianto per produrre biochar

Come prima cosa, la biomassa viene alimentata ad un reattore in cui le temperature vengono elevate fino a 600° C, in assenza di ossigeno. In questo modo vengono innescate le prime reazioni di destrutturazione delle molecole organiche (lignina, cellulosa e emicellulosa). Successivamente viene alimentato un certo quantitativo di O2 o semplicemente aria, che consente di aumentare ulteriormente le temperature (800-1000 °C). In questo modo si conclude la degradazione delle strutture organiche originali. Infine, i prodotti ottenuti vengono separati, ottenendo: la miscela gassosa (syngas), il prodotto solido (biochar) e il residuo liquido (Bio-oil o TAR).

Le mille e una potenzialità del biochar

Oltre al tradizionale utilizzo come ‘fertilizzante’, il biochar può essere sfruttato in molteplici altri settori, cosmesi, farmaceutica, prodotti edili, pavimentazioni stradali3, batterie, superconduttori, prodotti ad uso quotidiano, per la produzione di concimi o come integratore dei mangimi negli allevamenti. Il biochar può essere utilizzato, anche, semplicemente, come cattura-odori nel frigorifero o in una stanza. La struttura porosa gli consente di assorbire i cattivi odori e in generale le sostanze indesiderate, come gas inquinanti (CO2 e CH4) e molecole (i VOC4, ad esempio). Diversi studi hanno dimostrato che, aggiungendo del biochar al terreno, è possibile limitare, in modo sostanziale, le emissioni di quest’ultimi.

In Nord Europa diverse sono le aziende zootecniche che hanno provveduto a rivestire i soffitti delle stalle per adsorbire le emissioni di CO2 e CH4 emesse dai bovini e dalle loro deiezioni. Buoni risultati sono emersi, anche nel campo dell’adsorbimento dei metalli pesanti5. Questi risultati rendono il biochar una possibile soluzione per superare le problematiche dovute ai metodi attuali, talvolta anch’essi pericolosi per l’ambiente o costosi.

Le ultime frontiere si stanno spingendo verso prove delle capacità adsorbenti del biochar rispetto ai PFAS6, sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate artificiali, oltre 4700 in numero, ampiamente utilizzate e che nel corso del tempo si accumulano nel corpo umano e nell’ambiente, di cui solo adesso si sta prendendo coscienza rispetto alla loro pericolosità.

Biochar esempio di un’economia ideale

Il processo alla base della produzione del biochar è esso stesso un esempio di recupero di materiali di scarto7. Questo è il principio alla base dell’economia circolare, un sistema in cui viene perseguito il recupero delle risorse al fine di ridurre al minimo il totale degli scarti. Questo tipo di economia consentirebbe di preservare le risorse naturali per le generazioni future, di affrontare la crescente richiesta di materie prime e di superare il problema dello smaltimento di almeno una parte dei rifiuti. L’importanza della Circular-Economy (CE) è percepito su scala mondiale; l’ONU infatti, riporta che è necessario la conversione della ‘cultura dello scarto’ in ‘cultura della conservazione’ al fine di preservare l’ecosistema Terra8.

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